Il cappotto termico e la muffa: facciamo chiarezza
Il cappotto termico è la soluzione a molti dei problemi che ci affliggono. Eppure è ancora guardato da taluni con sospetto e spesso associato, ingiustamente, a patologie edilizie quali la muffa.
Un cappotto per amico
La nostra società umana è alle prese con sfide epocali che possono diventare pericolose se non affrontate con impegno e con urgenza e che hanno come comune denominatore la produzione e il consumo dell’energia da fonte fossile, che costa tanto e provoca l’immissione in atmosfera di grandi quantità di CO2. Le sfide più importanti ormai le conosciamo bene: le conseguenze disastrose sull’ambiente e sull’economia dei cambiamenti climatici in atto causati proprio dalle emissioni di CO2, la difficoltà nell’approvvigionamento, in particolare per l’Europa e per l’Italia, dell’energia che ci serve per alimentare la nostra economia della crescita continua di stampo capitalista e la povertà energetica di fasce sempre più ampie di popolazione che non riescono più a far fronte agli importi scritti sulle bollette e rinunciano così a riscaldarsi esponendosi al rischio di case insalubri e malattie.
Le risposte a questi problemi, che ci vengono suggerite nei documenti finali delle conferenze ONU sul clima (le cosiddette COP) e nelle direttive europee, quali la RED (direttiva sull’energia rinnovabile) e soprattutto nella EPBD (la direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici), sono sostanzialmente due:
- la drastica ed urgente riduzione del consumo di energia globale
- la sostituzione delle fonti fossili, utilizzate nella produzione di energia, con fonti rinnovabili quali sole, vento, geotermia.
Gli enti di ricerca hanno appurato che i nostri edifici, per la climatizzazione invernale ed estiva, utilizzano il 40% dell’energia totale ed emettono il 36% di CO2. I nostri edifici rappresentano dunque il problema principale ma, paradossalmente, anche la soluzione al problema.
La soluzione principale, propedeutica ad altre ugualmente importanti, a queste sfide epocali è, sorprendentemente, semplice. Si chiama cappotto termico e il suo corretto utilizzo permette:
- di diminuire drasticamente il consumo di energia per la climatizzazione degli edifici,
- di diminuire, fino ad azzerarle, le emissioni di CO2 nell’atmosfera,
- di diminuire il fabbisogno energetico nazionale e quindi la dipendenza dalle importazioni dall’estero
- di ridurre fino ad eliminare il fenomeno della povertà energetica
- migliorare notevolmente il comfort abitativo.
Un amico chiacchierato
Il cappotto termico ci è diventato familiare da quando è stato definito “intervento trainante” dal superbonus 110% poiché permetteva di trascinare dietro di sé altre sostanziose detrazioni fiscali per interventi necessari alla riqualificazione energetica degli edifici.
Nonostante l’importanza del ruolo che ricopre, il cappotto termico è ancora guardato da taluni con sospetto e spesso associato, ingiustamente, a patologie edilizie quali la muffa. Spesso, infatti, si legge o si sente dire che “installare un cappotto termico provoca la formazione di muffa sui muri interni perché non fa respirare i muri”.
Questa affermazione diffusa è decisamente falsa perché si porta dentro alcune inesattezze che, ritengo, vadano chiarite.
Il cappotto termico non provoca la muffa, anzi
Cominciamo col capire quando e perché si forma la muffa sulle pareti di casa: per attecchire la muffa ha bisogno di una superficie nutriente (come ad esempio l’intonaco) che si mantenga umida (cioè con umidità relativa pari o superiore all’80%) per sette/otto giorni consecutivamente.
Facciamo un altro passo in avanti: si forma umidità su una parete quando si verifica una determinata (e sfortunata) combinazione di bassa temperatura superficiale del muro e di alta umidità relativa dell’aria dell’ambiente.
A parità di umidità relativa dell’aria, la possibilità di formazione della muffa aumenta al diminuire della temperatura superficiale della parete.
Facciamo un esempio: temperatura ambiente pari a 20°C e umidità relativa dell’aria pari al 40%, se la temperature superficiale della parete è pari a 15°C non si forma umidità mentre si forma quando la temperatura superficiale si abbassa a 9,2 °C.
Tiriamo una prima conclusione: una temperatura superficiale interna di un muro che si mantiene bassa per più giorni può favorire la formazione della muffa.
Facciamo un esperimento che può aiutarci nella comprensione del fenomeno: appoggio sul tavolo una lattina di coca cola a temperatura ambiente e vedo che sulla sua superficie non si forma umidità. Apro il frigorifero ed estraggo una lattina di coca cola ghiacciata e la metto sul tavolo: dopo qualche istante sulla superficie della lattina di depositano goccioline d’acqua: si è formata umidità superficiale. A parità di temperatura ambiente l’umidità si è formata sulla lattina con superficie fredda (cioè con temperatura superficiale al di sotto di un determinato valore di soglia) e non su quella avente temperatura superficiale maggiore del valore di soglia. Una volta creatasi umidità su di una superficie la muffa può attecchire.
Per evitare la muffa dobbiamo quindi evitare che la temperatura superficiale del muro (o della lattina del nostro esperimento) si abbassi al di sotto di un valore determinato sia nella parete corrente che in corrispondenza dei cosiddetti punti critici, ossia punti più freddi rispetto alla parete corrente.
Un punto critico freddo è solitamente causato dalla presenza di ponti termici conseguenti a pilastri o spigoli.